Con tale norma, il Legislatore – spinto dall’esigenza di realizzare un miglior coordinamento tra gli interessi individuali in conflitto – ha, senza dubbio, voluto valorizzare l’autonomia contrattuale delle parti compressa dalle preesistenti disposizioni.
In secondo luogo, l’articolo 45 ha rivitalizzato il mercato degli affitti dei fondi rustici, che era divenuto asfittico e semiparalizzato, a causa della lunga stagione della legislazione vincolistica12. Con l’intervento delle organizzazioni professionali di categoria, si è, infine, posta l’attenzione anche sulla tutela degli interessi collettivi coinvolti.
Semplicemente leggendo la norma, sorgono quantomeno tre dubbi interpretativi, che sono stati oggetto di plurime statuizioni giurisdizionali:
– in che cosa consista l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali;
– se sia necessario o meno che l’assistenza venga prestata in favore di entrambe le parti (proprietà ed affittuario);
– quale sia il significato di associazioni sindacali “maggiormente rappresentative a livello nazionale”.
La corretta interpretazione da dare al termine “assistenza”13 è frutto dell’intervento giurisprudenziale, secondo cui è sinonimo di effettiva attività di consulenza e di indirizzo, tale da chiarire alle parti il contenuto e lo scopo delle singole clausole contrattuali, che si discostino dalla previsione di legge, affinché la stipula avvenga con la massima consapevolezza e trasparenza possibile14.
Perché si abbia un “procedimento contrattuale valido” è essenziale che le associazioni professionali di categoria siano poste in condizione di conoscere la situazione di fatto in relazione alla quale le parti si accingono a concludere l’accordo e così di interloquire nel loro interesse sul relativo contenuto.
E’ indiscusso che la mera presenza fisica del rappresentante dell’organizzazione di categoria di appartenenza non può considerarsi sufficiente, qualora lo stesso si limiti a sottoscrivere l’accordo senza aver preso parte alla fase di trattativa, volta all’individuazione del contenuto della convenzione16. In altre parole, la sua partecipazione non si può estrinsecare in una neutrale presa d’atto, con l’apposizione di un visto e di una semplice controfirma, giudicate inidonee17.
Non è, invece, richiesta una diligente valutazione dell’opportunità o convenienza dell’affare, o anche della validità ed eseguibilità del contratto alla stregua non della legislazione agraria ma del diritto civile. Si tratta, infatti, di aspetti in relazione ai quali la parte dispone dei comuni rimedi previsti dall’ordinamento: l’annullamento, la rescissione o la risoluzione per l’inadempimento18.
Se l’accordo, che prevede pattuizioni in deroga, non viene sottoscritto dal rappresentante sindacale o se risulta provato che quest’ultimo non ha prestato la sua effettiva e partecipativa assistenza tecnica nella stesura delle clausole19, operano automaticamente le norme imperative dettate dalla L. 203/1982.
Trattandosi, come detto di una “nullità di protezione”, essa può essere fatta valere solo dalla parte che lamenti di non essere stata assistita e su di essa grava l’onere della prova che, nonostante la formale sottoscrizione, il rappresentante della sua associazione di categoria non ha prestato un’adeguata ed effettiva consulenza.
Questi principi di diritto spesso rimangono solo “sulla carta”, nel senso che, in presenza di una dichiarazione contrattuale che dà atto dell’assistenza (o, semplicemente, della presenza) del rappresentante sindacale dell’affittuario, accompagnata dalla sua sottoscrizione del documento negoziale, fornire la prova contraria è estremamente difficile, se non impossibile. Infatti, la giurisprudenza ritiene probante la sottoscrizione, da parte dei contraenti e dei loro rappresentanti sindacali, del documento negoziale. Ciò significa che:
la dichiarazione dell’esistenza dell’assistenza sindacale contenuta nel documento negoziale non attiene a diritti indisponibili, non riguarda la ricezione di una specifica e dettagliata informazione tecnica sul negozio e, in considerazione della sua natura confessoria, ha valore di prova legale. Per inficiarla, non può essere ammessa la prova per testimoni (volta a dimostrare che la dichiarata assistenza dell’organizzazione di categoria non si era concretamente svolta come una effettiva attività di consulenza e di indirizzo);
se si dà atto dell’assistenza dell’attività di consulenza ed indirizzo svolta dall’associazione professionale, nel testo contrattuale, la sottoscrizione del documento dai contraenti e dai loro rispettivi rappresentanti sindacali è probante e, in difetto di proposizione di apposita azione di annullamento per vizio della volontà, tale efficacia probatoria non può essere disattesa mediante la deduzione di una prova orale, diretta a dimostrare la non corrispondenza al vero di quanto liberamente attestato dai contraenti.
Nella prassi, a far tempo dall’entrata in vigore della Legge n. 203/1982, numerosi sono i contratti di affitto stipulati mediante convenzioni in deroga ai sensi dell’art. 45, ossia con l’assistenza dei rappresentanti delle rispettive Organizzazioni Professionali Agricole.
Ne consegue che non possa considerarsi sufficiente la mera presenza fisica del rappresentante dell’organizzazione di categoria di appartenenza, qualora lo stesso si limiti a sottoscrivere l’accordo senza aver preso parte alla fase di trattativa, volta all’individuazione del contenuto della convenzione.
Se risulta provata la mancata assistenza effettiva e partecipativa delle organizzazioni professionali di categoria, l’accordo in deroga viene infatti automaticamente convertito in un normale contratto agrario, soggetto alla disciplina dettata dalla Legge 203/1982.
Ciò in quanto le norme in materia di contratti agrari hanno carattere imperativo e sono inderogabili, potendo assurgere a mere norme dispositive solo qualora venga correttamente applicato l’art. 45 della Legge 203/1982.
Le conseguenze non sono di poco conto.
Si pensi al caso di un contratto di affitto di fondo rustico stipulato in deroga, in quanto le parti hanno pattuito di comune accordo che il rapporto contrattuale avesse una durata inferiore rispetto a quella prescritta per legge (quindici anni).
Se in fase di stipula le parti non sono state assistite dalle rispettive organizzazioni professionali di categoria che, anziché informare i contraenti sul significato delle pattuizioni e sui relativi effetti, si sono limitate a sottoscrivere l’accordo già raggiunto, quest’ultimo è privo di efficacia e la durata del contratto di affitto di fondo rustico viene in automatico riconvertita in quella legale. Il concedente, che, in ipotesi, avesse voluto concedere in affitto un terreno di sua proprietà solo per cinque anni, essendo successivamente intenzionato a venderlo, dovrà pertanto attendere il decorso del termine legale di quindici anni.
Le norme imperative di cui alla Legge 203/1982 sostituiscono le pattuizioni in deroga non soltanto in presenza di accordo viziato, ma altresì nel caso più estremo di accordo addirittura inesistente.
Per quanto direttamente riguarda la forma di predette convenzioni, giova ricordare che la Suprema Corte ha stabilito, ai fini della validità del contratto in deroga, che assume rilevanza probatoria la sottoscrizione da parte dei rispettivi rappresentanti sindacali (Cass. 4 giugno 2008, n. 14759; Cass. 25 marzo 2016, n. 5953). Il che induce a ritenere che non sia possibile, o comunque non sia opportuno, stipulare accordi in deroga in forma verbale, posto che in tale ipotesi sorgerebbero seri problemi nel fornire la prova dell’effettiva assistenza sindacale.
E’ necessaria la presenza di entrambe le associazioni?
La giurisprudenza più recente, componendo un contrasto interpretativo, ha affermato che, ai fini della validità dei patti in deroga, è sufficiente che, al momento della stipula, soltanto gli affittuari, e non anche i proprietari, siano stati assistiti da un rappresentante dell’organizzazione professionale cui aderiscono. Poiché la nullità ex articolo 45 può essere fatta valere soltanto dalla parte interessata, che non sia stata assistita, ne consegue che, se il contratto, oltre che dalle parti, è sottoscritto dal solo sindacato rappresentativo dell’affittuario, è pienamente valido.
La mancata assistenza sindacale del proprietario non può essere impugnata dall’affittuario, ma solamente dal primo, qualora ne abbia interesse, ma il caso pare essere “di scuola”, atteso che le nullità di protezione sono tutte a favore dell’affittuario.
Molto frequentemente una stessa organizzazione professionale rappresenta sia il concedente che l’affittuario. Ci si chiede, dunque, se ciò sia possibile e valido o meglio, se l’assistenza così prestata sia effettiva.
La giurisprudenza, ormai consolidata, afferma che è sufficiente che le parti, al momento della stipula, siano state assistite ciascuna da un rappresentante dell’organizzazione professionale cui aderiscono, e che tali rappresentanti siano persone diverse. E’ irrilevante che i due rappresentanti appartengano alla medesima organizzazione o, addirittura, che quest’ultima non abbia uffici distinti specificamente preposti alla tutela di interessi differenziati
L’applicabilità dell’art. 41 trova un’ulteriore eccezione in presenza di contratti di affitto stipulati dalla Pubblica Amministrazione. Ed invero, in tale fattispecie, da tempo la Suprema Corte ha affermato il principio secondo il quale “in materia di contratti stipulati dalla P.A. (nella specie affitto agrario) è necessaria la forma scritta a pena di nullità e, pertanto, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 41 della Legge n. 203/1982, che ha deformalizzato i contratti di affitta coltivatore diretto, compresi quelli ultranovennali, rendendoli a forma libera, non può ritenersi concluso un contratto di affitto con la P.A., pur sé protrattosi per anni” (Cass. 8 maggio 2014, n. 9975; Cass. 1 aprile 2010 n. 8000, Cass. 26 giugno 2008, n. 17550).
Quella che potremmo definire un’eccezione all’eccezione è riscontrabile solo nell’ipotesi in cui il contratto di affitto, stipulato in forma scritta dalla P.A., preveda espressamente la rinnovazione tacita dello stesso in caso di mancata disdetta. Sul punto la Suprema Corte ha infatti stabilito, dopo avere comunque escluso in termini generali una rinnovazione tacita per facta concludentia, la possibilità di configurare la stessa allorché l’onere dell’invio della disdetta sia espressamente previsto in apposita clausola dell’originario contratto concluso in forma scritta (Cass. 21 agosto 2014, n. 18107).