La Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza n. 28398 del 29 settembre 2022 ribadisce la legittimità e la utilizzabilità delle registrazioni di conversazioni, anche all’insaputa dei Colleghi, qualora esse siano necessarie per tutelare la posizione del lavoratore all’interno dell’Azienda e per precostituirsi un mezzo di prova.
Nel contrapposto bilanciamento tra diritto alla riservatezza e tutela dei propri diritti, la Corte ha chiarito che l’art. 24 del D. Lgs. 196 del 2003 “permette di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013 n. 21612)” .
Ne deriva, la piena efficacia delle registrazioni raccolte come fonte di prova, entro i limiti e ai sensi dell’art. 2712 c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che essa sia realmente avvenuta né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro; la contestazione, precisa la Corte nella propria sentenza, non può limitarsi ad un mero disconoscimento ma deve essere chiara , circostanziata ed esplicita, “e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta”.
In ogni caso, la condotta del lavoratore che abbia registrato una conversazione all’insaputa dei colleghi per tutelare un suo diritto, non integra un illecito disciplinare, in quanto “il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili (…) non a caso nel codice di procedura penale, il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost. sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento” , pertanto la registrazione di una conversazione sarebbe coperta “dall’efficacia scriminante dell’art. 51 c.p., di portata generale nell’ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico”.